Una tregua e il lungo al Corno!

La voglia di pedalare nella primavera di Maggio e una tregua di qualche ora dalla pioggia con  il sole alto e il cielo azzurro, le rose sgocciolanti e i papaveri che superano le spighe rendendo i campi quadri stupendi.

Un sabato ideale per poter fare un lungo nel nostro Appennino fin lassù al Corno Alle Scale da poco spogliato dalla neve e che piano piano si sta preparando all’Estate.
L’aria sapeva di grano bagnato e d’erba tagliata, praticamente di allergia, l’asfalto aveva ancora l’odore della pioggia ma asciutto faceva scorrere stabili le nostre biciclette.
L’umidità, salendo verso MonteOmbraro, dopo aver pedalato leggeri tra le vigne e due ali di erba alta quanto i papaveri su per SanSavino, ci bagnava come la pioggia dei giorni scorsi.


MonteOmbraro da Castelletto la prima asperità della nostra giornata Appenninica. Salita dolce fino a Ciano poi l’asfalto taglia il calanco e lo arrampica deciso, come decisi dobbiamo spingere i pedali terminando le chiacchere e aumentando, insieme al ritmo, anche la doccia salata che dal casco scendeva copiosa su tutto il corpo.
Per alzare un po’ d’aria Ale decideva di spingere senza pietà anche il falsopiano traditore, quello che prima dell’antico borgo modenese illudeva la fine della salita, che però sarebbe finita solo in pieno paese, dopo un’impennata tanto bella, quanto bastarda.
Zocca ad un paio di pedalate e poi ancora su verso le Lame e ancora falsopiano a tutta per tornare nel bolognese a Bocca dei Ravari e fin su al Passo Brasa dove ancora il sole splendeva e la montagna faceva sentire la sua pace.

Maurizio era partito con noi per un bel giro in compagnia, in compagnia di sé stesso vedeva alzarci sui pedali e sparire al primo tornante per poi riapparire con le barrette in mano a fine salita. Ma Maurizio non mollava, pedalava, pedalava del suo passo, con il suo sudore e la sua fatica a fargli compagnia.
La discesa del Brasa verso Gaggio Montano non vedeva riposo, sinuosa e veloce, poco ripida e tanto Alpina, come l’immediato passaggio in salita a fianco dell’unico faro Montanaro, un muro che poi spianava e ci conduceva, dolcemente, ma sempre salendo, verso Querciola. 
L’ultimo riposo verso Vidiciatico, passando dalla cascata, carica di acqua gelida, poi la salita, la più importante di giornata, gli indici chilometri verso il Cavone e le piste del Corno Alle Scale.

Quel primo tratto verso LaCá, quei primi metri subito dopo Vidiciatico dicono già chi salirà veloce faticando il giusto e chi passerà un’ora in compagnia della sofferenza. E se a LaCá un attimo di respiro la montagna lo concede, appena fuori, tra le case in sasso di Cà Torlaino, l’Appennino ricorda che arrivare ai 1600 metri degli impianti è ancora lunga. 
Ale e Lorenzo, chiacchierando, prendevano quei pochi metri che sarebbero bastati a non riprenderli più.

Una volta attraversato il RioRì la salita non dava più pace, un ciao nei tornanti prima di Madonna dell’Acero verso i due in fuga e poi quei tre chilometri infernali tutti al quattordici per cento verso il Cavone, dove Gianluca faceva valere le sue doti di scalatore gentile, aspettandomi al Laghetto e accompagnandomi verso l’ultima difficoltà, il muro della galleria che attraversa la Pista Alberto Tomba, la più lunga pista da sci dell’Emilia Romagna.

 Il Tempo di mettersi l’antivento e dalla Toscana nuvoloni neri facevano sentire la loro voglia di scaricarsi, e mentre Maurizio terminava la sua fatica al Cavone, il vicino Cimone si vestiva di nero, un nero intenso come la pece, un nero che metteva paura e che ci faceva scorrere veloci, ma attenti, in discesa fino a Querciola, dove al Bar, dei splendidi panini prosciutto e formaggio ci aspettavano, desiderosi di essere mangiati.

Accontentati e mangiati i panini, con lo stomaco pieno e le gambe murate di acido lattico, ma sicuramente più rilassate che al Cavone, salivamo verso Corona, poi ancora a Val Piana, lasciando Maurizio sempre dietro, solo con la sua fatica.
Maserno, Montese e poi quella stradina splendida tra i saliscendi che portavano a Castel d’Aiano passando accanto alla piscina.


Nuovamente sulla statale del Brasa e giù verso Bocca dei Ravari e a destra a Rocca di Roffeno, su per quel muro che è Appennino ma che ricorda molto una cotes belga, Santa Lucia. Una stradina in mezzo al bosco tra castagni e aceri, passando per fienili e stalle e agriturismi che invogliavano a fermarsi. Fermata che il cielo non consigliava di fare, con quel nero sul Cimone che ci scortava affianco a noi da quando ancora eravamo al Corno.


La Paura di prendere, per l’ennesimo weekend l’acqua, o forse una condizione incredibile, mettevano Ale davanti a tutti da Monte Pastore in poi, facendoci arrivare comodi-comodi, o quasi, a casa.
Senza prendere una goccia di acqua, giusto il tempo di entrare in casa, farsi la doccia calda e guardare fuori dalla finestra. Pioveva ma non si vedeva, negli occhi ancora la galleria di alberi tra RioRì e il Cavone e la Croce che svettava solitaria in cima al Corno con i canaloni pieni di neve.
Era stata fatica, meravigliosa e splendida fatica in montagna.   



Commenti

Post popolari in questo blog

Campioni D'Italia Aics con il Grande Saba!

Le nostre avventure alla Oetztaler 2019

Bologna-Palermo in bici, by Alessandro Galluzzo!